In una recente ordinanza del 25/02/2025, n. 4936 la Corte di Cassazione ha ribadito un principio ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità in tema di controlli sui dipendenti:
“i controlli del datore di lavoro a mezzo di agenzia investigativa, riguardanti l’attività lavorativa del prestatore svolta anche al di fuori dei locali aziendali, sono legittimi ove siano finalizzati a verificare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti od integrare attività fraudolente, fonti di danno per il datore medesimo”.
Ha aggiunto, poi, cha tali controlli non possono invece avere ad oggetto l’adempimento della prestazione lavorativa da parte dei dipendenti, in virtù dei divieti previsti dagli articoli 2 e 3 dello Statuto dei lavoratori.
Con queste parole la Corte ha confermato la legittimità del ricorso, da parte del datore di lavoro, a un’agenzia investigativa per accertare comportamenti infedeli dei propri dipendenti, attraverso i cosiddetti “controlli difensivi”.
Questi controlli possono essere richiesti esclusivamente per individuare eventuali condotte illecite del dipendente, idonee a minacciare il patrimonio e l’immagine dell’azienda. È escluso, invece, che il datore di lavoro possa servirsi di un’agenzia investigativa per verificare il corretto adempimento, da parte del dipendente, della mansione assegnata. Questo tipo di verifica può essere eseguita soltanto dal datore stesso e dai suoi collaboratori.
Il datore di lavoro può ricorrere all’agenzia investigativa sia in presenza di evidenze circa il comportamento illecito del dipendente, sia in presenza di un fondato sospetto che questo sia stato o stia per essere messo in atto.
Vediamo di seguito alcuni esempi di comportamenti infedeli per i quali si è fatto (e si può fare) ricorso ad agenzie investigative.
- Assenteismo strategico e falsa attestazione di presenza in servizio.
La prima condotta si configura quando il dipendente si assenta in maniera reiterata da lavoro e con una pianificazione strategica di queste assenze (per esempio in periodi di intensa attività lavorativa o in corrispondenza di weekend e festività). La seconda, invece, riguarda il dipendente che dichiara falsamente di essere in servizio mentre si dedica ad attività personali (commissioni, acquisti, frequentazione di bar, ecc.). - Utilizzo improprio delle assenze per malattia o infortunio.
In questo caso le indagini svolte dagli investigatori privati non sono finalizzate ad accertare la sussistenza della patologia (solo un medico può farlo), bensì sono volte a verificare che il permesso non venga sfruttato per finalità diverse da quelle per cui è stato concesso. In particolare, rilevano tutte quelle attività incompatibili con uno stato di malattia o infortunio e tali da rallentare la guarigione e il ritorno in servizio (altre attività lavorative, anche in nero e non necessariamente in concorrenza con l’azienda datrice; attività sportive; lavori domestici pesanti; viaggi non correlati a esigenze di cura, ecc.). - Abuso dei permessi ex legge 104/1992.
È una pratica ormai diffusa l’utilizzo improprio del congedo ex L. 104 per dedicarsi ad attività personali non connesse all’assistenza di un familiare disabile, come ad esempio vacanze o altre attività lavorative. Questo tipo di condotta danneggia non solo l’azienda, ma anche l’ente previdenziale (INPS) ed è per questo idonea a integrare, in alcuni casi, il reato di truffa a danno dello Stato. - Doppio lavoro in violazione del divieto di concorrenza.
Si configura quando il dipendente, al di fuori dell’orario lavorativo, si dedica, per conto di terzi o per conto proprio, ad attività in concorrenza con l’azienda datrice. - Furto o sabotaggio in azienda.
Fa riferimento alla sottrazione di beni, materiali e non, o alla compromissione del normale svolgimento dell’attività lavorativa, per esempio attraverso il danneggiamento dei macchinari.
In tutti questi casi è lecito il ricorso ad agenzie investigative per il controllo dei dipendenti, in quanto finalizzato ad accertare comportamenti illeciti che danneggiano la stabilità dell’azienda e che sono diversi dal mero adempimento della prestazione lavorativa.
Qualora l’attività di indagine produca risultati che confermano la sussistenza di tali comportamenti infedeli, il datore di lavoro può essere legittimato a procedere anche con il licenziamento per giusta causa dei dipendenti. Per resistere ad un’eventuale contestazione in sede processuale, però, le prove devono essere solide, precise, proporzionate alla finalità dell’incarico e acquisite nel rispetto della legge, della dignità e della privacy del lavoratore.
Con queste premesse, ad esempio, la Cassazione, nell’ordinanza n. 8342/2025, ha confermato il licenziamento per giusta causa di un dipendente che, usufruendo dei permessi ex L. 104, svolgeva un’attività lavorativa presso un’altra azienda, anziché assistere il familiare disabile.
Al contrario, con l’ordinanza n. 25287/2022, il giudice di Cassazione ha dichiarato illegittimo il licenziamento di un dipendente di banca che era stato notato da un’agenzia investigativa, assunta per controllare un’altra collega, in frequenti allontanamenti dalla sede lavorativa. La Corte ha stabilito che tale agenzia abbia ecceduto i limiti del proprio mandato, sfociando nella vigilanza della condotta lavorativa del banchiere che non era oggetto del mandato investigativo.
Questi sono solo alcuni esempi che dimostrano la sottile linea entro la quale un investigatore privato può muoversi per garantire un equilibrio tra i diritti del datore di lavoro e quelli dei dipendenti. Ma la casistica giurisprudenziale in tema di controlli difensivi è notevolmente più ampia.
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A cura di Sonia Statella
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